C’era una volta il mio paese. C’era una volta Striano, il mio paese. Un paese a misura d’uomo. Piccolo, talvolta stretto, ma mio. Quella misura oggi si è persa e con essa anche il mio paese, la mia Striano. Il tempo corre e scorre, per questo cambia: volti, storie, vite, cose. Il tempo ha cambiato anche Striano, il paese che prima vivevo e che oggi abito soltanto.
Questo paese non è più quello che ho conosciuto quando sono nato: io sono cambiato ma rimasto sempre strianese. Striano è cambiata ma non è più strianese come me. Qui non si tratta soltanto di ricordi, di passato scivolato tra le mani come acqua dalla fontanella della “Villetta”. Il posto dove cresci e vivi non solo ti circonda ma ti avvolge, fino ad abbracciarti dal di dentro. L’abbraccio della mia Striano è svaporato nell’alba del nuovo millennio. Il mio paese ha perso lo spirito di terra di frontiera, diventando avamposto di provincia, anticamera della terra di confine dimenticata. Responsabilità di una politica che a Striano ha chiesto tanto senza domandare, che ha avuto più di quanto ha dato. Una politica che ha fatto della propaganda l’unica azione di governo: una propaganda quasi sempre priva di sostanza.
C’era una volta il mio paese. C’era una volta Striano, l’invidiata Striano che faceva storcere il naso ai paesi limitrofi, incapaci di raggiungere quella “misura d’uomo”. Tutto era misurato in funzione dell’uomo, dell’individuo. Si sapeva ascoltare, si sapevano cogliere le istanze della gente. Ci si dava da fare anche, e soprattutto, dove c’era da colmare qualcosa. L’associazionismo, i comitati, l’iniziativa privata rappresentavano nuovo slancio e impulso costante alla vita economica, sociale, culturale e civile di un’intera comunità. Con il tempo tutto questo è andato scemando: colpa del protagonismo, dell’egocentrismo, dell’esibizionismo gratuito e senza ragione. Si è perso il senso della misura, della misura d’uomo. Si sono svuotate le piazze, le villette si sono chiuse; si grida al miracolo per una casa canonica ricostruita o per un centro sociale con l’entrata di sicurezza e senza l’uscita d’emergenza. Una piazza in cui le auto in sosta (vietata) superano le persone che la vivono è una piazza falsa, una piazza vuota. Vuota, spesso, è anche una comunità che in mancanza di attrattive e di opportunità scappa dal proprio paese. Un paese che se lo attraversi ti sembra soltanto una strada e non un luogo, che ti incoraggia a passare e non a sostare.
Allora ripenso a una voce della mia adolescenza, nelle giornate calde e frequentate d’agosto della mia Striano. Quella voce diceva, con profetica lungimiranza: “Striano è ‘no paese accussì tranquillo ca se more ‘e tranquillità”.
Ettore Silverio